IN PRINCIPIO E’ SUONO
Ciascun percorso, ciascuna frammentaria esperienza del corpo del mondo, lungo il cammino offre alla vista e allo sguardo umano immagini che ‘dicono, che muovono alla lettura e all’ascolto. Come avviene l’ascolto di un’immagine? Essa, pur situandosi nel ‘reale’, diventa immediatamente parte della nostra memoria, si va a ricongiungere ad altri frammenti di memoria, produce associazioni e rinnovato movimento interiore; ciascuno, infine, di un’immagine ascolta, inavvertitamente, ciò che del ‘se stesso’ meno nota in essa-risuona. Ciò che le immagini raccontano all’uomo e dell’uomo e ciò che attraverso esse l’uomo racconta, concerne qui quel filo-tessuto
simbolico-interpretativo che dall’antichità permette all’ esistenza umana di svolgersi in un ritmico mosaico di tempi e spazi, all’interno del quale la vita è alimentata e provocata dalla mai risolta questione dell’unità e separazione di Realtà e Verità. lì cammino di questi giorni mi conduce alle opere di Shuhei Matsuyama. Guardo queste immagini, e Matsuyama me ne legge il suono. Cerco di giungere ad una interpretazione simbolica della materializzata trascrizione simbolica d’arte.
Nell’elaborazione di questi linguaggi artistici che concernono una nozione di arte assai più ampia di quella Occidentale e comprensiva, senza distinzione di valore, di quelle che per noi sono dette “arti minori”, tutto apparirebbe sostenuto da regole che concernano il portare alla luce, nella creazione o nel gesto artistico, un ordine non trascendente le cose, ma ad esse soggiacente, da esse sotteso. L’ordine che si viene a costituire è tessuto al tempo stesso del naturale disordine, in quanto esso non concerne tanto una volontà di perfezione o assolutizzazione quanto un desiderio di armonia e equilibrio,creati grazie all’interagire
dell’imperfezione, dell’assimetria, dell’irrazionale, del suddetto, articolato e inconsapevole disordine. L’ordre e beautè di cui parlava Baudelaire, va situato al di là dell’opposizione dello iato tra rigore della razionalità e libertà intuitiva irrazionale.
Le opere di Matsuyama provocano ad andare oltre i confini tra differenti percezioni sensoriali, verso una forma di visione-ascolto dell’immagine-suono che dice di una già nota ricerca sinestetica. Ne sono stati e ne sono animati certi artisti, ogni qualvolta il desiderio non può essere colmato dal visibile, ma necessita un acuirsi della
facoltà percettiva e cognitiva, per giungere ad “illuminare” ciò che dell’esperienza è essenza criptica, indicibile, sfuggente a qualunque elaborazione intellettuale.
Matsuyama ha creato opere in cui la riduzione tematica ad unità significante (la linea-suono) si scrive nella continuità e nel rinnovamento. Le differenti opere potrebbero leggersi, dopo averle ‘contenute’ nello sguardo ad una ad una come variazione su un tema, per usare un’analogia musicale. lì tema è il suono, in questo caso materializzato, reso visibile, e Matsuyama, attraverso l’essenzialità del soggetto artistico, ne suggerisce il carattere primordiale, la valenza del principio originario della vita. Nell’antica tradizione filosofico-religiosa indiana, l’universo fu creato dal canto di Prayapati, il Dio della creazione. Presso gli aborigeni australiani, i miti della creazione narrano di “creature totemiche” che, nel loro cammino attraverso il paese, diedero vita a ciascun elemento cantandone il nome. Noi occidentali sappiamo della virtù creatrice del Verbo, ma sappiamo anche di quanto nei secoli l’arte dei suoni sia stata connessa all’espressione dell’ordine cosmico e divino, grazie, oltre al suo particolare linguaggio affine a quello matematico, anche al suo essere la più astratta fra le arti. Ogni cosa, alla nascita, si distingue e si separa dall’indifferenziato, dal Nulla o dal Caos che precede l’origine. Simbolicamente, ogni nascita è scritta da un nome. Matsuyama, pur non entrando in questa questione, dice che ogni cosa ha, od è (rappresentata da) un suono. Da qui procedo e la traccia-’suono’, continuando ad osservare le sue
opere, si fa ritmo, regolare o irregolare. Ritmo è ciò che permette all’umano di ‘misurare, nel senso di conoscere, il proprio muoversi fra spazio e tempo. Cosi come l’orecchio percepisce il ritmo nel tempo musicale, l’occhio coglie il ritmo nello spazio dell’opera. Qui si propone allo sguardo di percepire il ritmo della linea-suono che si svolge nello spazio-tempo dell’opera. Per un musicista la musica non è soltanto ciò che si suona o si ascolta, ma innanzitutto ciò che si legge e si scrive. La linea melodica può essere trascritta graficamente attraverso l’unione delle note che la compongono, e qui appare il profilo di un’onda. Le linee di Matsuyama sono irregolari, a volte interrotte, costituite da punti cromatici sfumati a rilasciare un eco, oppure continue e dal corpo asimmetrico, o leggermente sinuose, o ancora inscritte in intersezioni di piani orizzontali e verticali che amplificano e variano nel tempo e nello spazio la visione-ascolto dell’opera. Simili a linee melodiche, ciascuna comprendente le proprie variazioni. Questi suoni, in quanto astrazioni, provengono dalla realtà sensibile ma non appartengono ad essa, non sono da udire, ma da ‘sentire’ interiorizzandoli ed interiorizzando lo spazio-tempo del gesto dell’artista. In queste opere l’immaterialità dell’astrazione coincide con la materialità dell’immagine, il silenzio coincide con il suono. Ad osservarli con accortezza, questi suoni sono cromaticamente più vicini al silenzio che alla voce, alla nota musicale. Indubbiamente, molti di essi emergono da circostanti luoghi silenziosi, o da un appena percettibile risuonare di acque. In principio, è il Silenzio? E un istante dopo, il Suono
del cuore? Lao-Zi principale esponente del pensiero filosofico taoista, disse:
“Il Ritorno, è il movimento del Dao (la Via)”. Silenzio e suono di generano vicendevolmente. Nell’inarrestabile movimento circolare e ciclico del Dao, esiste un punto in cui essi, semplicemente, coincidono.
di Monique Sartor